Per noi bambini di campagna andare in colonia al mare era davvero un lusso per i nostri genitori.
Nel mio paese viveva la sorella della Madre Generale delle Immacolatine di una colonia che si trovava a Quinto al Mare, vicino a Genova, ovvero Suor Matilde. Quindi era praticamente impossibile non andarci quando arrivava l’estate. A giugno si partiva perché si diceva: il mare fa bene, tanto bene. A me purtroppo no e poi capirete il perché.
Prima di partire per la colonia iniziavano i preparativi: si compravano i numeri da cucire su tutto ciò che si portava con sé. Vestiti, slip, calzine, teli mare, ogni cosa. Io ovviamente avendo iniziato a ricamare da bambina i numeri me li dovevo cucire da sola. Per noi bambine di paese lasciare la nostra casa era una cosa terribile. Non avevamo mai visto il mondo esterno, figuriamoci il mare poi. Era veramente come andare sulla luna. Poi distaccarci dai nostri genitori era una cosa impensabile. Fatto sta che si doveva partire. Mia mamma mi mandava insieme a due amiche del paese sorelle, Vilma e Valeria. Insieme ai loro genitori prendevamo il treno o il taxi, ovvero c’era un signore che nel paese vicino faceva a mo’ di tassista portando la gente dove voleva a pagamento. Arrivavamo in questa oasi meravigliosa, piena di palme gigantesche, fiori a non finire, alberi così maestosi da non vedere oltre. Si percorreva questo viale bellissimo e si arrivava in un grande spiazzo dove c’era la casa delle suore con la relativa colonia. Era una casa enorme bellissima. Entravi e c’era una Madonna gigantesca poi prendevi le scale ed entravi in questi stanzoni dove ognuna di noi aveva il suo letto e il suo comodino. Tutto bianco, lenzuola bianche che profumavano di pulito. Nell’angolo in fondo c’era una specie di gazebo ovvero delle tende che formavano un quadrato con all’interno un letto e un comodino e lì stava la suora addetta ai bambini di quella camerata. Di notte io guardavo le ombre della suora mentre si toglieva il velo e osservavo le ombre dei suoi capelli cercando di immaginare come fossero.
Di fianco una finestra enorme. Gli orari erano ferrei. Mattina presto colazione e poi tutti al mare a Quarto in pullman accompagnati da qualche suora. Il mare non era bello ricordo tanto tanto catrame. Un caldo inverosimile. Io nuotavo con il salvagente ma avevo una gran paura. Io e le mie amiche del paese eravamo inseparabili. Ci avevano messe nei letti vicine. Poi prima di mezzogiorno si tornava sempre in pullman, io soffrivo sia la macchina che il pullman, e stare in piedi sul pullman a quell’ora con quel caldo mi faceva stare davvero male. Ogni volta che passavamo davanti a Quarto sentivo la suora che diceva che quello era il posto dove avevano ucciso Milena Sutter nel 1971. Un caso che fece molto scalpore all’epoca. Una ragazzina di 13 anni rapita e poi uccisa.
Non vedevo l’ora di tornare. Arrivati un po’ di pausa poi tutti a mangiare nel grande refettorio. Ricordo quella pastasciutta con il pomodoro rossissimo, davvero buonissima. Ne sento ancora il profumo. Poi la carne, un panino e la frutta. Tutto rigorosamente contato. Poi al pomeriggio arrivava il primo dramma: il sonnellino! Io non ero abituata a dormire nel pomeriggio, di solito, a casa, mi rintanavo in garage a giocare con le poche bambole che avevo e con le cassette dei fagioli o dei piselli da incestare, costruivo una casa e in qualche ora mi inventavo tutta una settimana, compresa la messa. Non avevo nulla ma mi divertivo molto con l’immaginazione. Con i petali dei gerani bagnati mi facevo le unghie lunghe per la domenica, con qualche straccio mi facevo il vestito da prete per la messa e così via. Predica, comunione e benedizione. Da sola rappresentavo tutto.
Le amiche che erano con me, Vilma e Valeria, invece dormivano. Io non ce la facevo. Siccome adoravo leggere i fumetti e Topolino in particolare, iniziai uno scambio di giornalini con le altre bambine così le due ore previste per il sonnellino passavano più in fretta. Ma la suora che stava seduta vicino alla porta per controllarci, mi riprendeva sempre perché facevo casino e svegliavo gli altri. Una volta andai vicino alla Valeria che stava dormendo e iniziai a farle il solletico così lei cominciò a ridere e Suor Cellina (credo si chiamasse così) mi rimproverò tantissimo.
Poi alle 16.00 ci alzavamo e dopo la merenda andavamo a giocare al sole in un terrapieno di sabbia di fronte alla colonia. Ma non si andava al mare.
Al sabato e alla domenica giocavamo in questo cortile con i sassolini dove c’era questa pianta di magnolia gigantesca. Stavamo tutte lì a giocare. Si fa per dire. Io Vilma e Valeria ci mettevamo sedute sul muretto a guardare gli altri. C’era solo un piccolo problema che proprio lì accanto passava il treno. E il treno cosa voleva dire?
Casaaaaaaa!. Quindi ogni volta che passava il treno ci guardavamo e cominciavamo a piangere pensando a casa nostra.
Non avete idea della tristezza. Ogni tanto una suora veniva da noi chiedendoci se potevamo rastrellare le foglie cadute della magnolia e così facevamo. Poi ci chiamava, essendo noi di Alzano ovvero dello stesso paese della Madre Superiora, eravamo per dire privilegiate, ci portava in una stanza meravigliosa piena di ogni ben di Dio e ci regalava un frutto a testa.
Arrivava l’ora di cena, penso prestissimo, non lo ricordo. Poi si usciva e potevamo giocare con la palla o altro davanti alla casa. Una volta tirai una pallonata così forte mentre stava uscendo proprio la Madre Superiora che colpii sulla fronte quasi a toglierle il velo. Mi ripresero per bene ma noi bambine ovviamente abbiamo riso tantissimo.
Alla sera della domenica andavamo a piedi alla gelateria e poi si tornava.
Credo verso le 21.00 tutti a dormire. Per me una tristezza unica. A casa io andavo a dormire tardi, dopo cena andavamo in giro in bicicletta, ci trovavamo sempre per giocare. Insomma eravamo libere. Lì no. Poi arrivava la domenica giorno in cui non si andava al mare. Però ci facevano il bagno. Ci mettevano in una mezza vasca e via a passarci il sapone e la spugna tipo cartavetra per farvi capire la dolcezza del lavaggio. Poi ci lavavano i panni e quando erano asciutti da un grane terrazzo una suora prendeva i panni e i teli leggeva il numero ad altra voce e se era il tuo te lo lanciava dal terrazzo. Quello non me lo scordo più. Eravamo numeri anche se in fondo ci volevano bene. Poi ci tagliavano le unghie. Io che amavo avere le unghie lunghe e ci tenevo molto, mi arrabbiavo tantissimo! Ci facevano scrivere a casa. Di solito le nostre lettere iniziavano con veniteci a prendere perchè …. Quelle lettere secondo me non vennero mai spedite. Però arrivava il giorno della posta in arrivo e quando arrivava una lettera da casa sentivi il tuo cognome Megassini c’è una lettera per te, ed era bellissimo. Le mie lettere le scriveva mamma, con quella sua bella calligrafia. Mi raccontava del nuovo maiale, della campagna, dei polli. D’altronde di cosa altro si poteva parlare? Voi riderete ma era davvero così. E leggendo quelle lettere giù a piangere.
Una volta ci portarono anche ad Arenzano in treno a visitare la chiesa. Captiva che quando non si poteva andare in spiaggia ci portavano a piedi al parco di Nervi dove c’erano tantissimi scoiattoli. C’erano anche altalene, scivoli e giochi e stavamo lì per tutta la mattinata.
I giorni passavano finché a me dopo un po’ di giorni sanguinava il naso. Mi venivano delle vere e proprie emorragie e in più la febbre. Così non mi mandavano in spiaggia e stavo in camera a letto. Mi spaventavo molto per tutto quel sangue e anche le suore. Poi se la febbre non mi passava chiamavano i miei genitori che mi venivano a prendere. Una volta ebbi la febbre così alta che mi portarono all’Ospedale Gaslini di Genova perché pensavano avessi il tifo. Ricordo ancora quel giorno. Quanta paura. La suora fece in modo che mia mamma potesse dormire lì con me perché io avevo una paura folle a stare da sola in mezzo a tutti quei bambini malati. Passai la notte e il giorno dopo fui dimessa. Mi riportarono a casa perché non avevo nulla. Arrivammo per pranzo e dopo aver mangiato andai subito in cortile a giocare. Mi era passato tutto, febbre e sangue dal naso. Ci riprovarono ancora una volta a mandarmici perché era arrivata la Madre Superiora e si era proposta per portarmi con lei in colonia di ritorno dal paese. Così i miei accettarono con grande mio sconforto. Ma poi dopo pochi giorni mi tornò la febbre e ritornai a casa.
Forse i miei genitori capirono che quel posto non era per me. Io ero una bambina libera, nel mio paese, nella mia campagna, con le mie amiche, senza orari e padroni a parte mamma e papà.
Penso spesso a tutte quelle suore perché poi alla fine nel bene o nel male eravamo diventate una famiglia.
Credo che da lassù qualcuna di loro sicuramente mi abbia aiutato e mi aiuti ancora.
Ogni volta che vado a Genova in treno passo proprio davanti a quel cortile dove io Vilma e Valeria ci sedevamo e quando passava il treno iniziavamo a piangere e rattristarci. Solo che questa volta io sono da questa parte sul treno, in cerca di nuove avventure. Ma il ricordo finisce sempre lì, oltre quella rete, seduta su quel muretto.
Un grazie particolare a Vilma Sottotetti, la mia amica compagna di avventure in colonia e non, per aver arricchito con i suoi ricordi questa storia e ad Adolfo Guagnini, il mitico Sindaco del mio paese Alzano Scrivia per avermi dato informazioni preziose.
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